Il cieco nato – IV domenica di quaresima
Il Vangelo di questa domenica può essere considerato una esplicitazione a ciò che scrive S.Giovanni nel Prologo parlando del Verbo: “In lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta” (Gv 1,4-5). Incontrare Cristo (il Verbo), come viene descritto nel racconto del cieco nato, conoscerlo e aderire a lui, ci porta alla luce. Una luce che illumina e che non si lascia vincere da chi e da ciò che vive nelle tenebre del pregiudizio e del potere. Il tema della luce, che sta al centro di questa domenica, evidenzia il richiamo e il forte legame con il battesimo, (su questo avevamo scritto domenica scorsa).
Molti esegeti annotano che in tutto il quarto vangelo è presente il tema della lotta tra luce e tenebre, e il brano di oggi è davvero emblematico da questo punto di vista. La tradizione catechetica che vedeva in questo testo una tappa verso il Battesimo dice al catecumeno che aderire a Cristo significa lottare contro tutto ciò che impedisce alla luce della verità di brillare: è bene che il futuro battezzato ne sia consapevole.
Ed è bene che noi, battezzati da tempo, ne siamo consapevoli: la nostra vita è chiamata a lottare sempre con le diverse forme che anche oggi assume la tenebra… e che non ci colga sempre impreparati la constatazione che quanti sono animati dal desiderio del potere appaiano come vincitori.
La Guarigione del cieco nato
Sul “segno” – così propriamente Giovanni definisce quelli che noi chiamiamo i miracoli – della guarigione del cieco nato vale quanto detto domenica scorsa nel dialogo tra Gesù e la samaritana. È una pagina di una densità straordinaria, che qui può essere solo illustrata attraverso qualche spunto di riflessione che serve ad orientarci in questo cammino quaresimale alla riscoperta del nostro battesimo
La luce e la tenebra
Il testo di oggi viene chiamato appunto la guarigione del cieco nato, eppure subito dopo il segno, che occupa le prime righe del racconto, la gran parte del brano descrive le conseguenze della guarigione, che non è gioia, allegria ed esultanza (come succede nelle favole o nella letteratura miracolistica di dubbia spiritualità) ma vengono descritte una serie di reazioni che sembrano proprio lo sforzo delle tenebre di negare la luce!
Restiamo impressionati da come l’evangelista, con potente ironia, fa zigzagare il dibattito tra quelli che hanno la pretesa di sapere e “sono ciechi”, e colui che è “cieco”, ma che poco a poco finisce per comprendere. Dopo la guarigione, colui che ora vede chiaramente, comincia a riconoscere più in profondità se stesso e a riconoscere in Gesù colui che, non solo lo ha guarito nella vista materiale, ma l’ha condotto ad una illuminazione più viva della realtà. Tanto da renderlo capace di prendersi gioco di coloro i quali, con supponenza e tracotanza, lo contraddicono, ciechi di fronte a ciò che è evidente.
Dice Maurice Bellet, (filosofo e teologo francese) “Ci sono due specie di persone sulle quali non si può contare: quelli che non sanno: non sanno; quelli che sanno: non impareranno niente. Su chi dunque si può contare? Su quelli che sanno di non sapere” (Minuscolo trattato acido sulla spiritualità, p. 55).
Chi ha commesso peccato, Lui o i suoi genitori perché sia nato cieco?
Tutto il capitolo 9 del vangelo di Giovanni contiene un severo atto di accusa contro la cecità di un’istituzione religiosa, per la quale il bene della dottrina è più importante del bene dell’uomo.
“Chi ha commesso peccato?” Come allora anche oggi serpeggia dentro di noi la percezione che, se c’è una malattia, o una situazione di fatica/sofferenza, all’origine ci dev’essere una colpa dell’individuo.
Se sto male devo aver fatto qualcosa che mi fa meritare i castighi di Dio!
Chissà se la risposta di Gesù sarà sufficiente a dipanare le falsità, la stupidità o l’enorme ignoranza delle scritture che ha animato tanti, troppi, approcci alla fede e troppe cose blasfeme dette da pseudo credenti, su Dio: “Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio”.
L’opera di Gesù è continuare la creazione di Dio Padre (“fece del fango”: … cfr. il racconto del genesi).
Dio in Gesù ci dice che l’unica cosa che gli sta a cuore è la nostra vita. Ogni situazione di dolore, difficoltà, sofferenza, malattia, ingiustizia, violenza… che possono far parte della vita di una persona, sono anche parte di una storia personale e comunitaria di salvezza, nella quale il Signore agisce sempre!
Normalmente agisce attraverso quanti vivono accanto: noi attraverso la nostra condivisione solidale, gli altri nei nostri confronti; nel momento in cui ci sentiamo parte di una stessa storia e ci prendiamo cura gli uni degli altri, “manifestiamo le opere di Dio” e agendo come Gesù, solidale e misericordioso, partecipiamo della stessa vita di Dio! Viviamo il nostro Battesimo!
“Ma i Giudei non credettero di lui che fosse stato cieco”
Dopo la guarigione, colui che era cieco non viene riconosciuto! E certo, non è più seduto a terra a mendicare, ma è in piedi e libero. Dall’incontro con Gesù nasce una nuova dignità, una progressiva consapevolezza di Gesù (riconosciuto dapprima come “uomo”, poi “profeta” e infine come “Signore”) porta ad una nuova consapevolezza di se stesso: incontrare Gesù rende creature nuove.
Per questo il racconto gira quasi tutto sul conflitto tra luce e tenebra, tutta la nostra vita è un “venire alla luce” e questo venire alla luce provoca una serie di equilibri da ricostruire. Spesso queste “ricostruzioni” sono delle vere e proprie lotte: aprire gli occhi su se stessi, sulle persone, sulla realtà, non dipendere dal giudizio altrui, acquisire propria consapevolezza, pensare con la propria testa …sempre scomodo per chi ci aveva catalogato o per chi approfittava della nostra situazione; sempre un pericolo per chi detiene il potere di qualunque tipo sia!
Nel racconto, per le autorità religiose, venire o no da Dio, dipende dall’osservanza o meno della legge, una legge che i potenti sanno usare a loro uso e consumo.
Per Gesù venire o no da Dio, invece, dipende dall’atteggiamento che si ha nei confronti dell’uomo.
Le autorità religiose rifiutano le proposte di Gesù per cui negano l’evidenza. Dicono: Gesù non rispetta il sabato, quindi è un uomo cattivo. Il cieco fa un cammino di presa di coscienza, proprio confrontandosi con chi pensa di sapere già tutto, un cammino di libertà, liberante certo, ma non semplice.
“Io prima ero cieco, ora ci vedo” lo dice con fermezza, la consapevolezza di se stessi, porta a considerare il primato della propria coscienza che precede ogni dottrina.
La sana consapevolezza della realtà e di se stessi, è possibile quando si hanno gli occhi aperti quando il proprio pensare non è condizionato dalla paura, dal demone del possedere e dell’avere…
Impressiona (ci fa proprio antipatia) la presunzione di sapere tutto, impressiona l’ignoranza e il non volere aprire gli occhi alla realtà, essere chiusi in una religiosità bigotta e moralista, stupidità di un potere preoccupato solo di se e non di scoprire e riscoprire la realtà e la persona, chiunque essa sia.
Il potere sarebbe soddisfatto solo se l’uomo guarito tornasse cieco.
Non importa il bene dell’uomo importa avere ragione, avere potere!
Pregiudizi che ci fanno sentire sempre apposto, sempre in regola, anche se negano la verità, la realtà: e quanti sono i nostri pregiudizi! Pericolosi, ci impediscono di riconoscere ciò che accade, ciò che è.
Il pericolo è reale, passare tutta una vita pensando e scegliendo ciò che ci fa comodo, ciò che ci è stato detto e che non ci mette più in discussione.. passare tutta una esistenza senza vivere … (ma sulla vita ci staremo la prossima domenica con Lazzaro).
Strano ma vero. Non è il cieco che chiede di essere guarito.
E’ Gesù che prende l’iniziativa di fare del fango per metterglielo sulla parte malata, su ciò che lo fa soffrire. Chissà lì per lì il cieco sarà anche stato infastidito o spaventato, come può capitare anche a noi ogni volta che il Signore ci si avvicina e, magari tramite qualcuno o qualche novità, tocca le nostre fragilità o viene a scomodarci. Ma quest’uomo, invece di ripiegarsi, di arrabbiarsi, di rifiutare Gesù, ascolta la sua proposta, si alza in silenzio, e probabilmente barcollando intraprende un difficile cammino dal Tempio, fino alla piscina di Sìloe per lavarsi.
Signore fa’ che ognuno di noi, accetti i tuoi interventi, quegli interventi che la vita ci mette davanti e che spesso non scegliamo, a volte spaventano – come può essere questa quarantena.
L’esperienza ci ha insegnato, che ogni volta che lo hai fatto, sembrava a noi che tu ci chiedessi qualche cosa, mentre in realtà, è molto di più quello che ci hai dato … e così è stato ogni volta!
Il punto d’arrivo della storia è luminoso, non potrebbe essere altrimenti.
Gesù non ha aspettato che il cieco, guarito, tornasse a ringraziarlo: lo ha lasciato solo di fronte alle brutte reazioni da lui suscitate nella gente (è lui, non è lui?), nei suoi genitori (lo lasciano al suo destino), nei giudei (lo attaccano su tutta la linea, e alla fine lo cacciano dalla sinagoga che significa terra bruciata nelle relazioni comunitarie e sociali).
Quando sa che è stato buttato fuori dalla sinagoga, e solo allora, Gesù lo va a cercare e lo conduce all’ultimo passo del suo lungo “catecumenato” vissuto attraverso situazioni difficili, ma necessarie (perché la liberazione non può essere un regalo, è insieme una opportunità offerta e una scelta personale). Situazioni superate con una ammirevole ostinazione nel credere alla bontà di quanto gli era accaduto.
Gli resta ora di “riconoscere” in Gesù il Figlio dell’uomo, e lo fa in quel “Credo, Signore” che è il più breve e il più semplice atto di fede.
Dalla bocca di Gesù viene l’ultima luce: “Sono venuto in questo mondo perché coloro che non vedono, vedano, e quelli che vedono, diventino ciechi”. E a quei farisei risponde: “Se foste ciechi, non avreste alcun peccato (di nuovo!), ma siccome dite “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane”.
Tutto torna. Perché i nostri occhi vedano la luce, è necessario essere consapevoli di una nostra cecità che non può essere guarita se non aprendoci alla luce che è Gesù.
E la nostra cecità non è constatazione che Dio vuole umiliarci, vuol asservirci a lui, ma è un atto di verità: siamo creature, siamo limitati, siamo figli.
Assaporiamo la bellezza e la liberazione che viene dal fatto che non dipende tutto da noi.
Assaporiamo il fatto che se sbagliamo non è perché siamo cattivi, ma è che ancora non vediamo bene. Assaporiamo il dono che ci viene fatto da un amore che desidera aprirci gli occhi, affinché possiamo riconoscere che la luce non la inventiamo noi, non è frutto delle nostre complicate alchimie, ma ci viene gratuitamente offerta.
E davvero è luce che rischiara e che conduce, nella libertà, alla pienezza di vita .