Da Lettera diocesana 2015/11, rubrica “Editoriale”
In questi giorni sono state riportate dalla stampa e in sintesi alcune mie frasi ad effetto pronunciate in un convegno delle Caritas parrocchiali con lo scopo di accentuare le polemiche e contrapposizioni. Preferisco a questo punto esplicitare il mio pensiero. In questo momento proverei a togliere tutte le coloriture ideologiche attorno a questo tema – accoglienza, non accoglienza, solidarietà… – per guardarlo come argomento su cui provare a riflettere. Qui non è in gioco la questione dei profughi ma sta emergendo la questione dell’essere istituzione e del rapporto tra istituzioni. Un conto è essere segretario di partito, un conto è essere istituzione. Quando si è eletti e si diventa istituzione ci si dovrebbe sedere attorno ai tavoli istituzionali e cercare a tutti i costi di trovare soluzioni alle emergenze che si presentano. Oggi vale per i profughi, domani vale per qualsiasi altra questione. Il tema profughi sta evidenziando una maggiore complessità perché coinvolge tutte le istituzioni a ogni i livelli: Onu, Europa, Italia, Enti regionali, prefetture, enti locali in collaborazione con il privato sociale. Tutti condividiamo che le persone vanno aiutate nei loro paesi d’origine. Le persone stesse uscite dalla Siria si sono fermate per anni nei campi profughi nei paesi vicini alla Siria sperando, finito il conflitto, di rientrare nella propria casa e terra. Poi vedendo che la situazione perdurava hanno scelto di venire in Europa. Oggi c’è bisogno dell’ONU, in particolare in riferimento alla Libia e agli stati dove attualmente stanno vivendo pesanti conflitti: necessita un intervento capace di favorire processi di pace. C’è bisogno di Europa capace di introdurre la possibilità dei visti umanitari da rilasciare presso le ambasciate nei paesi terzi per favorire un ingresso legale in Europa ed evitare il commercio di vite umane in mano agli schiavisti. Capace di pensare alla redistribuzione all’interno dei propri confini dei profughi arrivati. C’è bisogno di Italia, capace di salvare in mare le vite umane, di identificare subito e bene le persone che giungono, di ascoltare il più velocemente possibile le persone, attraverso le commissioni territoriali. C’è bisogno di Enti regionali e locali capaci di governare le accoglienze nei propri territori. Dandosi dei criteri condivisi con le Prefetture: indicare il numero delle persone che si devono accogliere nel proprio territorio (massimo una persona ogni 5 mila abitanti); indicare il numero delle persone che si possono accogliere nelle strutture (massimo 5-6 persone per struttura) evitando così i grandi numeri; e poi soprattutto verificare il lavoro di ogni singola cooperativa che accoglie all’interno del proprio comune. Queste realtà sono pagate dallo Stato perché svolgono un’attività economica. Sarebbe opportuno controllare che svolgano al meglio il proprio lavoro, non solo il mansionario della Prefettura, ma come operano in relazione al territorio e al buon vicinato, alla realizzazione di corsi di italiano, alle attività per favorire attraverso percorsi di volontariato l’integrazione nel territorio. Non serve continuare a denigrare genericamente chi lavora con i profughi. Se si affronta a tutti i livelli tra istituzioni questo tema in modo costruttivo e responsabile forse non si parlerebbe più di profughi e si inizierebbe a parlare di altri temi che forse stanno molto più a cuore agli italiani.
Ma soprattutto come possiamo chiedere all’Europa di suddividersi i profughi se attorno a questo tema tra sindaci non ci si incontra e non si trovano degli accordi?
don Luca Facco, direttore di Caritas Padova